Privacy, Internet e Social Network… un binomio possibile?
L’uso ormai quotidiano che ciascuno di noi fa della rete e dei social network fa nascere sempre maggiori domande e, parallelamente ci porta a riflettere su come questi strumenti entrino nella sfera personale di ciascuno di noi.
Se da un lato, infatti siamo portati a temere il pericolo di una crescente progressiva intrusione portata nella nostra privacy da parte di terzi, dall’altra rimaniamo costantemente affascinati dal messaggio di straordinario opportunità di progresso di cui proprio la Rete in generale, e in particolar modo i più conosciuti social network (Facebook, Twitter) si è fatta negli anni portatrice.
Come poter far convivere, allora, esigenze talvolta così pericolosamente distanti tra loro?
Partiamo da una premessa.
Sappiamo che quello che indicheremo potrà apparire un’ovvietà, ma è un dato di fatto da cui occorre in ogni caso partire.
Operare sul web non significa poter violare le norme senza problema alcuno.
Anzi, in taluni casi, si è avuta, soprattutto da parte delle autorità giudiziarie, particolare severità nel sanzionare condotte illecite correlate all’utilizzo di tali strumenti.
Vasto eco nel mondo giuridico ha avuto la vicenda di quel post su Facebook, contenente giudizi diffamatori nei confronti di un datore di lavoro, che ha visto condannato l’autore del fatto addirittura per diffamazione aggravata, perché si è considerato i social network equiparabili ormai alla carta stampata (Tribunale Livorno, ufficio GIP, sentenza 31.12.2012 n° 38912).
Ed eguale eco ha avuto la recente pronuncia della Corte di Cassazione per cui perchè si possa considerare diffamatorio un commento non è necessario che nello stesso sia indicato il nominativo dell’offeso, essendo sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone (Corte di Cassazione I Sez. Pen. n. 16712 del 16 aprile 2014).
Vi è, peraltro, un elemento che, curiosamente, accomuna entrambe le decisioni ed è la rilevanza data, nelle motivazioni, all’estrema accessibilità e conoscibilità che vengono ad avere le notizie o i commenti una volta che siano apparsi su social network.
Peraltro, in entrambi i casi le pene comminate ai soggetti ritenuti responsabili son state anche molto severe.
Tanto più severe se correlate poi al fatto che dietro a condotte simili, non sempre si cela la deliberata volontà di offendere l’onorabilità di un soggetto quanto sfoghi personali se non, addirittura, malriuscite goliardie.
Eppure, sempre più evidente ed urgente appare l’esigenza di provvedere ad una quanto più radicata cornice che delinei gli aspetti sostanziali in un mondo qual’è quello del cyberspazio ancora così pieno di isole inesplorate
Sotto questo punto di vista, sicuramente meritori devono considerarsi interventi quali quelli dell’Autorità Garante per la Privacy che pochi mesi fa ha pubblicato sul tema il documento “Social Privacy – Come tutelarsi nell’era dei social network”.
Il documento nasce, così come indicato in premessa dall’Autorità Garante, con l’obiettivo di fornire agli utenti che ormai, in numero sempre più crescente popolano le “piazze virtuali”, uno strumento capace di fornire quanti più spunti di riflessione al fine di tutelare anche nel mondo del web un bene prezioso qual è quello della tutela e della salvaguardia dell’identità di ciascuno di noi.
Ma non sono solo questi gli interventi di cui si avverte la necessità.
Perché sia chiaro, i problemi vi sono e sono rilevanti.
Sono problematiche magari strettamente correlate alle modalità di funzionamento di questo o di quel social network o che concernono il quotidiano utilizzo che facciamo del mezzo Internet.
Prendiamo ad esempio il social network più conosciuto, Facebook, dove semplicità di utilizzo e gratuità del servizio hanno rappresentato un connubio vincente.
Andando ad osservare attentamente, molteplici sono i pericoli di lesione della riservatezza di ciascun utente insiti nell’utilizzo di questo strumento di socializzazione e comunicazione, dei quali magari non ci accorgiamo neppure.
Non stride con il diritto alla privacy, ad esempio, il fatto che una volta iscritti, in automatico e senza che vi sia il preventivo assenso, il nome e, magari, anche l’immagine dell’iscritto compaiano automaticamente sui motori di ricerca estranei al network?
O ancora non appare fortemente lesivo il fatto che anche laddove si decida di cancellarci i propri dati personali non vengano immediatamente rimossi, ma restano sul server, così da poter essere nuovamente visibili in caso di nuovo accesso al network?
Di più.
C’è uno strumento presente su Facebook, il cd “mi piace”, all’apparenza totalmente innocuo.
Eppure..
Una ricerca pubblicata da studiosi del Pnas (l’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uninazionale delle scienze degli Stati Uniti) ha evidenziato come sia possibile realizzare stime sorprendentemente accurate dell’età, la personalità, persino la sessualità e le opinioni politiche degli utenti di Facebook, tutto questo attraverso l’analisi automatizzata proprio dei “mi piace”.
Insomma, si potrebbe arrivare a mettere a punto dei software ad hoc per dedurre con precisione informazioni altamente sensibili, e tutto questo solo “saccheggiando” un semplice click.
Operazione fatta da milioni di utenti giornalmente, in maniera del tutto ignara di quella che potrebbe essere l’utilizzo fatto di un semplice like.
E come non riflettere, poi, sul fatto che le molte applicazioni di cui ognuno di noi si dota sui propri smartphone in taluni casi, si tramutano, talvolta, in strumenti per carpire fittiziamente dati personali, a volte financo dati sensibili, che nessuno di noi si sognerebbe mai di concedere liberamente a terzi.
E stiamo parlando di applicazioni il cui numero di download supera le centinaia di migliaia.
Per avere una riprova di quanto appena indicato, basta digitare i dettagli autorizzazioni che sono presenti in ciascuna applicazione e ci troveremo di fronte ad un vero e proprio sotterranea acquisizione di una moltitudine di dati.
E tutto ciò senza che si richieda minimamente il consenso dell’utente.
Ma c’è un aspetto che fa emergere, forse, ancor più chiaramente quanto sia forte e l’esigenza di regole certe.
E’ quello relativo al cosiddetto diritto all’oblio.
Tema divenuto talmente delicato che solo pochi mesi fa è dovuta intervenire la Corte di Giustizia dell’Unione Europea stabilendo il principio per cui tutti i cittadini europei possono chiedere ai motori di ricerca di rimuovere risultati che includono il loro nome qualora risultino inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati.
Si badi bene, non parliamo di principi astratti ed anche un po’ fumosi.
Quante volte, infatti, l’esigenza di ricercare informazioni o notizie, attività che quotidianamente ciascuno di noi compie, o la semplice necessità di appagare una nostra curiosità ci potrebbe far incorrere in notizie, anche datate, il cui permanere nel magma della rete comporta un forte pregiudizio in chi si ritrova, contro il suo volere, nuovamente messo alla pubblica gogna.
Il diritto all’oblio, questo è.
Il diritto ad essere dimenticato in relazione a dati pregiudizievoli, non pertinenti, non necessari e comunque non collegati con fatti di cronaca.
Diritto che dovrebbe essere sacrosanto e che, invece, continua a trovare tante difficoltà ad essere garantito.
Pensiamo, ad esempio, ad un lavoratore che potrebbe correre il rischio che notizie riguardanti la sua persona, magari concernenti fatti accaduti molto tempo addietro potrebbero essere viste dal proprio datore i lavoro.
O ad un adolescente che solo per gioco abbia postato video che con l’andare del tempo non vorrebbe più che fossero visibili.
Per questi soggetti riuscire a vedersi garantita il sacrosanto diritto alla privacy è ancora oggi estremamente complicato, proprio perché di tali tematiche nessuno sembra volersene occupare in maniera davvero efficace.
Ecco, quindi, che torna in rilievo quanto poco sopra indicavamo.
E’ evidente che non basta più, a fronte dell’emergere di problematiche nuove come quelle appena descritte, pensare di poterle risolvere applicando strumenti nati e pensati quando Internet non era nemmeno nato, magari.
Occorre una presa di coscienza della vastità e rilevanza di dette problematiche da parte degli ordinamenti, anche legislativi soprattutto sul versante della tutela in capo ciascun utente che le informazioni lo riguardano debbano essere sempre trattate nel rispetto dell’autodeterminazione del singolo alla loro diffusione.
Su questo principio non è possibile transigere.
Solo così si potrà davvero pensare che progresso tecnologico e tutela dei diritti della persona possano convivere.
avv. Luca Bellezza – luca.bellezza@firenzestudiolegale.it
*articolo apparso sul sito www.corriereprivacy.it nell’ottobre 2015
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