Class Action, è vera gloria
Con il termine class action (azione di classe) si fa riferimento a strumenti di tutela collettiva risarcitoria che consentono di dar vita ad un unico processo al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti da un gruppo di cittadini danneggiati dallo stesso fatto, realizzato da un’azienda.
Dal 1° gennaio 2010 è entrato in vigore l’articolo 140 bis del d.lgs. 206 del 2005, comunemente conosciuto come Codice del Consumo, che ha per la prima volta disciplinato nel nostro ordinamento tale azione.
Infatti, seppure già nel 2006 si era arrivati alla stesura ed alla presentazione di un primo progetto di legge che istituisse l’istituto della class action, lo stesso progetto si era poi arenato durante la discussione parlamentare.
Andando ad analizzare nel dettaglio la norma di riferimento, secondo l’articolo 140 bis, così come attualmente formulato, possono associarsi, al fine di procedere ad un’azione di classe, tutti i consumatori e/o utenti che abbiano subito le conseguenze di condotte o pratiche commerciali scorrette, oppure che abbiano acquistato un prodotto difettoso o pericoloso, oppure, ancora, che versino in una medesima situazione di pregiudizio nei confronti di un’impresa, in conseguenza di un inadempimento contrattuale della stessa.
L’azione deve essere obbligatoriamente promossa inizialmente da uno o più consumatori / utenti, i quali agiscono in proprio oppure dando mandato ad un’associazione di tutela dei diritti dei consumatori.
Gli altri interessati, purché comunque titolari di una identica pretesa, possono scegliere di aderire all’azione di classe già promossa, senza dover ricorrere all’assistenza di un legale.
Resta salva, comunque, la possibilità di agire individualmente per la tutela dei propri diritti.
Quest’ultima ipotesi è però incompatibile con la scelta di aderire ad una class action.
Da notare come, in ogni caso, sia stato espressamente previsto un preciso limite temporale per l’esercizio di un’eventuale azione di classe.
Infatti, a norma dello stesso articolo sono soggetti a tale azione solo quegli illeciti commessi a partire dal 16 agosto del 2009.
Competenti a decidere sulla class action sono i Tribunali ordinari avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa.
Se la domanda viene accolta, il Tribunale con sentenza liquida, ai sensi dell’art. 1226 c.c., le somme dovute a coloro che hanno aderito all’azione.
La sentenza diviene esecutiva trascorsi 180 giorni dalla pubblicazione e fa stato anche nei confronti degli aderenti.
Altra tipologia di azione di classe è, invece, quella che può essere intrapresa contro le inefficienze delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici.
La Class action nella P.A, introdotta col Decreto Legislativo 20 dicembre 2009, n. 198 diversamente da quanto accade nelle azioni collettive nel settore privato, così come appena sopra delineate, non prevede risarcimenti ma punta al miglioramento nella produzione del servizio, correggendone le eventuali storture.
Le disposizioni contenute hanno meramente lo scopo di garantire il cittadino / cliente da qualsiasi violazione degli standard di qualità del servizio pubblico, a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto che lo eroga.
Una volta evidenziati quelli che sono i caratteri essenziali della norma regolatrice l’istituto, corre l’obbligo di evidenziare come tale strutturazione presenti sì numerose luci ma anche evidenti ombre che – è opinione di chi scrive – rischiano di far perdere molta della forza innovatrice.
Infatti, è senza ombra di dubbio da salutarsi molto favorevolmente, in primo luogo, l’aver ammesso la class action a tutela dei diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in un’identica situazione, a prescindere dalla tipologia di contratto da cui tali diritti derivano, così come aver cercato di dare, attraverso la previsione per la quale il Tribunale debba fissare un termine perentorio entro il quale gli ulteriori atti di adesione debbano essere depositati presso la cancelleria dello stesso, cercato di dare quante maggiori garanzie possibili ai comportamenti scorretti dei consumatori stessi, attraverso l’imposizione di una scelta ben cadenzata tra l’azione individuale e quella collettiva.
Senonché tale ottima finalità si è tradotta nella previsione di una tortuosa serie di passaggi burocratici, da porsi in essere sia dai promotori della class action per diffondere tale iniziativa, che per coloro i quali volessero poi aderirvi, che secondo molti avrà come conseguenza il rendere fin troppo difficoltoso l’accesso a tale tipo di tutela.
Al di là di ciò, però, due sono i veri punti dolenti.
In primo luogo, per ciò che concerne i titolari del “potere” di promuovere l’azione di classe: a norma dell’art. 1, possono aderire alla class action, infatti, solo i consumatori e/o gli utenti.
Orbene se per ciò che concerne la definizione di consumatore nessun problema si pone, posto che lo stesso è definito nel Codice del Consumo, quale “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, maggiori problematiche si pongono per quello che concerne chi è utente.
Infatti, se le due definizioni fossero sostanzialmente una sinonimo dell’altra, ne conseguerebbe l’esclusione per tutti quei soggetti come, ad esempio, una qualunque azienda, che abbia subito un danno nell’esecuzione di un contratto di adesione.
Peraltro, con una simile interpretazione si andrebbe contro lo spirito che ha portato negli altri ordinamenti, europei ed extra europei, all’introduzione di simili istituti.
Altra criticità, riguarda poi la circostanza che, attualmente, l’azione può essere proposta solo dinanzi a undici Tribunali.
La scelta di limitare la competenza al solo Tribunale del capoluogo di regione, ove ha sede l’impresa, se da un lato può essere valutata positivamente in quanto può essere vista in un’ottica protesa alla futura creazione di sezioni specializzata per le azioni collettive, dall’altro pone evidenti contraddizioni.
Prima tra tutte quella relativa all’esatta competenza.
Non sono evidenti i criteri di coordinamento tra questa disposizione e il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione con l’ordinanza n. 14669 del 1° ottobre 2003 e l’ordinanza n. 24262 del 26 settembre 2008, in sede di regolamento di competenza, che, nell’individuare il giudice competente, ha affermato che il foro del consumatore è esclusivo e speciale, sicché la clausola che stabilisca come sede del foro competente una località diversa da quella di residenza o di domicilio elettivo del consumatore è presuntivamente vessatoria e, pertanto, nulla.
Ma vi è di più.
Di fronte ad una siffatta previsione, come sarebbe possibile procedere ad un’azione collettiva nei confronti di un’azienda che, pur avendo dato vita ad una delle condotte che, ai sensi del comma 2 dell’art. 140 bis, potrebbe essere tutelata a mezzo di un’azione di classe, ha però sede legale all’estero?
Ecco, forse una maggior attenzione verso dinamiche economiche sempre maggiormente indirizzate da una marcata globalità, permetterebbe di non incorrere in simili incongruenze evitando, magari, di dover solo a distanza di pochi anni già parlare di una legislazione da emendare.
avv. Florinda Corrado – florinda.corrado@firenzestudiolegale.it
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