Diritto all’oblio e internet

Diritto all’oblio e Internet

Il diritto all’oblio è il diritto di ognuno a non vedere riproposti al pubblico fatti propri che in passato furono oggetto di cronaca.

Tale diritto nel nostro ordinamento ancora non risulta tutelato appieno, sussistendo allo stato un vero e proprio vuoto normativo.

E’ del novembre dello scorso anno, il recente tentativo da parte del legislatore italiano di introdurre per la prima volta il c.d. “diritto all’oblio”.

Infatti, la Commissione Giustizia del Senato aveva approvato il disegno di legge n. 3491/12 recante “Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, e al codice penale in materia di diffamazione” e che avrebbe avuto, tra i propri effetti, proprio quello di vedere tutelato il “diritto all’ oblio”.

Con l’articolo 2 bis si stabiliva infatti che l’interessato, o gli eredi dello stesso, potessero sempre chiedere ai siti internet e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione della legge sulla privacy. In caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, si prevedeva la possibilità di ricorso al giudice, al fine di ordinare ai siti internet e ai motori di ricerca la rimozione delle immagini e dei dati ovvero inibirne l’ulteriore diffusione.

Si prevedeva inoltre che in caso di inottemperanza a tale ordine, il giudice potesse applicare nei confronti dei soggetti responsabili la multa da 5.000 a 100.000 Euro e disporre la rimozione del contenuto illecito o del dato personale trattato illecitamente.

Tali disposizioni, purtroppo, non sono state trasfuse in una legge, costituendo l’ennesima occasione mancata per il legislatore italiano di regolamentare questa importante materia.

L’esigenza di tutelare tale diritto è sentita da ormai numerosi anni.

Infatti, già a partire dai primi anni ’70, una siffatta garanzia fu riconosciuta, dalla Suprema Corte di Cassazione.

Con plurime statuizioni si era venuti, infatti, al riconoscimento del diritto all’oblio come diritto facente parte dei diritti c.d. ”inviolabili”, di quei diritti cioè che, seppur non esplicitamente espressi dalle Costituzioni, sono da esse riconosciuti e tutelati.

Ciò in ragione del fatto che fin da quegli anni si era ritenuto imprescindibile riconoscere il pieno diritto al che un individuo, che avesse commesso un reato in passato, potesse richiedere che quello stesso reato non venisse più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione.

Tutto questo, naturalmente, a condizione che l’opinione pubblica avesse potuto avere nell’immediatezza dei fatti una quanto più precisa e completa informazione.

Una siffatta ricostruzione sistematica nasceva dal seguente presupposto.

A partire dal momento in cui il fatto sia stato interamente conosciuto, l’interesse pubblico alla sua riproposizione deve andare scemando fino a scomparire, divenendo quel medesimo fatto, con il decorso del tempo, quasi un fatto privato e pertanto suscettibile di essere tutelato dal diritto di riservatezza.

Senza dimenticare, peraltro, che uguale diritto deve riconoscersi nei confronti delle vittime del reato.

Si capisce bene come le problematiche sottese alla sussistenza di tale diritto, ed il loro intrecciarsi in maniera così complessa, sono letteralmente esplose con l’avvento di Internet.

Molte volte, infatti, basta digitare un semplice nome e cognome su di un qualsivoglia motore di ricerca per ottenere il rifiorire da archivi storici di notizie lontane anche decenni, di materiale che può risultare sconveniente e dannoso per la personalità di chi è protagonista di quel materiale, pur essendo trascorso un periodo di tempo estremamente rilevante e senza che siano intervenuti nuovi elementi che ne giustifichino ancora la diffusione.

Con ciò andando a ledere soggetti che, magari, a distanza di anni hanno completamente cambiato vita od anche semplicemente intrapreso una diversa attività professionale.

Proprio per evitare questi rischi, si è ritenuto da parte dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali di dover intervenire sul tema con la decisione n. 249 del 2005.

In essa l’Autorità era addivenuta alla determinazione del seguente principio: “Trascorso un congruo periodo di tempo, occorre si provveda a collocare le notizie di vari anni or sono in una pagina accessibile solo dall’indirizzo web. Tale pagina, ricercabile nel motore interno al sito, dovrà essere esclusa, invece, dalla diretta reperibilità nel caso si consulti un comune motore di ricerca”.

Unica eccezione all’esplicarsi di tale principio era ed è ravvisabile in una eventuale stretta correlazione di quegli stessi fatti con nuovi casi di cronaca o in un persistente interesse pubblico alla loro diffusione.

Ciò proprio al fine di contemperare le diverse esigenze scaturenti sia dalla salvaguardia dell’estrema utilità ed efficienza dei motori di ricerca che dalla tutela della reputazione e della riservatezza dei soggetti.

Anche la Commissione Europea, recentemente, ha manifestato l’intenzione di occuparsi della questione “diritto all’oblio”, tanto da presentare il 25 gennaio 2012 una riforma globale per la tutela della privacy degli utenti sul web, da convertire in legge da tutti gli Stati membri entro il 2015, con i seguenti obiettivi:

– la possibilità che i propri dati personali siano cancellati e non siano più processati laddove non siano più necessari in relazione alle finalità per cui erano stati raccolti;

– l’obbligo da parte del soggetto che ha reso pubblici i dati di informare della richiesta di cancellazione altri soggetti che abbiamo copiato le informazioni o le abbiano linkate.

In questo contesto ed in attesa di atti comunitari ufficiali, l’Italia rimane, all’interno della comunità europea, il paese dove il diritto all’oblio ha ottenuto una cornice comunque più esaustiva, grazie ad alcune pronunce giurisprudenziali e dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.

Riprova ne è anche l’ultima decisione adottata sul tema dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 5525/2012, Terza Sezione Civile), che ha nuovamente fatto proprio l’indirizzo dettato a suo tempo dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, rivolto all’obbligo di creazioni di motori interni ai siti, così da impedire l’accesso diretto, mediante i comuni motori di ricerca, alle notizie contenute negli archivi storici degli stessi.

Attualmente per vedere tutelato il proprio diritto all’oblio, la persona interessata ha a disposizione solo due strumenti, non sempre efficaci e rapidi: potrà effettuare una diffida stragiudiziale da inviarsi all’organo di informazione che ha pubblicato la notizia, tendente alla richiesta di eliminazione della stessa o, nel caso in cui ciò non sortisca effetti, potrà proporre un ricorso all’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, diretto a richiedere il blocco dei dati personali contenuti nel singolo articolo.

Si capisce bene che porre in capo ad un organo giurisdizionale la tutela del diritto all’oblio, certamente sarebbe la scelta più garantista ed efficace.

avv. Roberto Ventrella – roberto.ventrella@firenzestudiolegale.it

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